La sinistra e i beccaccini

Enrico Filippini in La Repubblica, 24 dicembre 1987


Da un po’ di tempo, quando scrivo, mi sento un potenziale mascalzone, e non capisco perché. Mentre ci sto pensando, arriva la ferale notizia che è morto l’Intellettuale di Sinistra. E io che stavo andando a beccaccini. Meno male che non lo conoscevo, perché sopporto male i lutti, specie prolungati. Ma poi arriva anche la notizia che questa morte l’avrei decretata io con due articoletti apparsi nel giugno e nel luglio di quest’anno. Mi pare sproporzionato, perché l’Intellettuale di Sinistra è di certo qualcosa di immenso rispetto a qualsivoglia mio decreto. Qui occorre un esame di coscienza. Io, per esempio, sono un intellettuale? Beh, ho studiato lettere e filosofia. Esercito un mestiere intellettuale? Faccio il giornalista. Lo faccio con onestà? Credo di sì. Sono «di sinistra»? Decisamente sì, anche se mi sono spesso occupato di persone o di faccende che riguardavano «la destra». Conosco intellettuali di sinistra? Ne conosco legioni. Cos’ho fatto stamattina? Ho letto un libro del filosofo Manlio Sgalambro, che s’intitola Trattato dell’empietà (Adelphi, pagg. 176, lire 16.000). E ieri sera? Ho conversato con una ragazza. Sono un intellettuale di sinistra? Ma chi se ne frega! Attenzione, c’è il morto, non alzare la voce! Dunque, allora, sommessamente, capisco che il problema c’è. Prima di tutto c’è il problema dell’intellettuale. È un problema antichissimo, nel senso che nel mondo c’è sempre stato un tipo di persone che, mentre altri scavavano la terra, piantavano gli alberi, mungevano le vacche, era occupato a pensare. Credo che nella mentalità corrente, queste persone siano considerate dei parassiti, dei rompiscatole, degli inetti. E sarà giusto così. Però, quel Socrate che andava in giro a rompere le scatole al popolo della polis greca, almeno secondo i resoconti giornalistici di Platone, qualcosa di utile diceva. solo un esempio, forse però troppo remoto. E in età romana? E in età medievale? E in età moderna? Ma che c’entra tutto questo! Non c’entra, è remoto. Ma chi mi ha cacciato in testa queste parole? Già, chi? Dei professori, degli insegnanti che mi raccontavano il mio passato mentale. E chi erano costoro? Degli intellettuali. Che barba, gli intellettuali! Sì, che barba. Ma sono quelli che ci fanno uscire dallo stadio pre-verbale, quasi animale, pre-civile. Bene o male? Generalmente male. E perché mai? perché generalmente male ne sono usciti loro. perché? perché sì. E adesso basta. No, un momento: perché sono inseriti in un sistema micidiale, che non è fabbricato da loro, ma dal sistema. Una volta si diceva «il Sistema». Sto pensando un attimo agli insegnanti. Ne conosco di tutti i tipi: dementi, isterici, depressi, geniali, impegnati a fondo nel loro mestiere. Conosco anche un po’ il sistema di cui sono funzione; se ne fossi funzione anch’io, salterei immediatamente dalla finestra. Certo, è vero che gli intellettuali non sono tutti insegnanti e che hanno una storia alle loro spalle. Ed è vero quello che in un dibattito di Problemi del Socialismo (al quale si riferiva uno di quei miei articoletti) diceva Giacomo Marramao: che l’intellettuale è «una figura sacerdotale, che, quanto più è disinteressata, tanto più serve il potere». Un momento. vero? vero certamente per ampi tratti dei secoli passati. Oggi forse meno. Oggi forse è più vero che gli intellettuali sono tutti «interessati», e che quando non lo sono servono il potere indirettamente. E questa è la grande fregatura. Alle spalle degli intellettuali c’è una storia di soggezione e anzi di sopraffazione: le «Leggi» non le ha mai dettate Platone, ma il Potere, e così avviene anche oggi, nella società più intellettuale che ci sia mai stata e in cui, a quanto pare, i poteri sono «diffusi» o «disseminati», come diceva Foucault. Una storia di soggezione ma anche di ribellione, perché la tradizione moderna dell’intellettuale è «illuminista». Eccoli qui i soliti Rousseau, Diderot, Voltaire. Li rivedo sempre volentieri. Del tutto per inciso: quando si pensa a loro, si pensa alla luminosità della ragione o almeno dell’Intelletto. Chi li ha letti sa invece che erano dei demòni, rotti a tutti i misfatti dell’Irrazionalità. Quando io penso a loro, li associo sempre a Sade. Non è poi tanto arbitrario, se è stato scritto autorevolmente che i suoi «sistemi» erano poi la verità di Kant.

Quando l’anno finisce e vengono le Feste, si è portati alle grandi ricapitolazioni. E così adesso – mi scuso – mi vengono in mente gli intellettuali romantici, e poi quelli post-romantici e poi quelli positivisti, e poi quelli cattolici, e poi quelli idealisti, e poi quelli socialisti, e poi quelli marxisti, e poi quelli fascisti, e poi quelli liberali, e poi quelli «di sinistra»: in duecento anni circa, che sono stati più veloci di venti secoli, di casini ce ne sono stati tanti. perché poi, certo, c’è il problema della Sinistra. In generale, credo che oggi coloro che si sentono di sinistra, me compreso, si sentano sconfitti. Ma credo anche che si tratti di un errore. Su questo concordo col mio amico Massimo Cacciari, che in un dibattito su MicroMega, a cui si riferiva l’altro mio articoletto, sosteneva che oggi il linguaggio al potere è il Linguaggio della Sinistra. Cacciari diceva: «Forse che la politica europea ha effettivamente conosciuto altri linguaggi rispetto a quello del progetto, della trasformazione, dell’oltrepassamento? Forse che la legittimità dello Stato non è stata sempre ricondotta al mito della rappresentanza?». Mi piacerebbe che qualcuno mi dimostrasse il contrario. Così, oggi la Sinistra è al potere, non nel senso che coloro che sono al potere sono di sinistra, ma nel senso che la cultura della Sinistra non aveva nient’altro da dare. Così, oggi la Sinistra è diventata «divina», come dice Baudrillard: avulsa, ineffabile, malinconica e sfiancata, mentre le Cose si fanno da sé. Così recupera per sé nozioni come quella del «disincanto», che in origine servivano a definire un mondo in evoluzione nichilista. Telefonando un po’ in giro per sapere delle circostanze del decesso di cui si diceva, mi sono reso conto di una cosa. Alle spalle e sopra la testa o sotto le coperte dell’Intellettuale di Sinistra, morto o vivo che sia, c’è sempre ancora il fantasma dell’«intellettuale organico» di gramsciano-togliattiana memoria e di invenzione staliniana. È un problema molto complicato, perché è sempre legato all’idea di Progetto. Io non credo che Stalin fosse un criminale. Credo che ritenesse che per realizzare certi «progetti» la criminalità fosse efficace. Forse aveva ragione. E dunque, gli intellettuali andavano o ammazzati o organizzati. La storia la sappiamo. Forse, la storia si è sempre saputa. Qui ci vuole una piccola sosta. Di intellettuali organici «all’italiana» ne ho conosciuti molti e mentalmente li divido in due categorie: i castrati e i profittatori. Per farmi capire, e per carità di patria, ne citerò due non italiani: metto tra i castrati il filosofo francese Louis Althusser, a cui penso ogni tanto con pietà; metto tra i profittatori il poeta cileno Pablo Neruda, che pure ha scritto qualche verso degno di ascolto e di attenzione. La storia è stata dura. Ma questa storia è finita. Se per caso risorge sul catafalco, l’Intellettuale di Sinistra potrà forse scoprire con piacere di non essere organico ad alcunché. Avrà qualche vertigine, ma non ha importanza. Forse scoprirà che tutto è da scoprire e che la sua funzione, solidale o solitaria, potrà essere soltanto nel produrre un’«eccedenza» (così diceva Marramao) rispetto al discorso che è al potere. L’unico problema è questa «eccedenza», e meno male che, probabilmente, le sue vie sono infinite come quelle del Signore che sta nascendo. Certo, il problema non è facile, perché la situazione contingente è esattamente quale l’ha descritta Pietro Barcellona nel suo bel libro su L’individualismo proprietario e che Cacciari sintetizzava così: il discorso al potere è «un formidabile viluppo di tutte quelle forme della democrazia di massa che organizzano la volontà di potenza dei diversi soggetti: partiti, sindacati, nuove forme corporate degli interessi costituiti». Questa è, per il momento, la realizzazione concreta, e visibile a occhio nudo, di quel mondo immaginato da quei tre, Rousseau, Diderot, Voltaire, poveri figli. Meglio tornare a Montaigne. E tu che fai? Io vado a beccaccini. E poi? Seguo le ragazzine. E poi? Leggo i giornali. E poi? Ah, già: devo dire perché all’inizio ho detto che quando scrivo mi sento un potenziale mascalzone. È perché sento che potrei dire qualunque cosa in piena impunità. perché non c’è vincolo, perché il linguaggio è stato liberato e non ha più obblighi di cogenza e di congruenza. perché vivo in regime di vaniloquio totale. Basta guardare i media. È quello che ha intuito Celentano. Celentano non è un delinquente, è solo uno che istintivamente fiuta l’aria e lo dice. E tu che fai? Io vado a beccaccini. E poi? Studio le forme metriche più raffinate del sonetto caudato. E poi?

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