Un pubblico per i libri? Andiamo a prenderlo…

Leandro Palestini in La Repubblica, 29 ottobre 1992

«Ogni volta che sento parlare di cultura metto mano al revolver». Tranquilli, anche se la frase campeggiava sul numero zero di Q come cultura, non è farina del sacco di Ippoliti, bensì del nazista Goebbels. Provocazione forse di dubbio gusto, ma che rende l’idea: cultura è parola sospetta, in tv sinonimo di bassi ascolti, e Ippoliti ha gioco facile a sfottere la cultura che non c’è, o che c’è sempre meno in Rai. «Maledizione, non c’è neppure uno straccio di programma cui ispirarmi». Il ministro dei Beni culturali, Alberto Ronchey, invidia alla Francia un personaggio come Bernard Pivot. Ma per fare un’Apostrophes all’italiana, è solo quello che ci manca? «No, da noi i Pivot ci sono, anzi te li tirano addosso. Piuttosto, mancano gli ospiti: quelli con cui fare conversazioni non barbose e neanche futili». La risposta è di Corrado Augias, il padre di Babele, l’unica trasmissione della Rai che si regge sui libri. Ma la gente non scappava al solo sentir parlare di libri? «È un miracolo: andiamo in onda di domenica, intorno alle 23, eppure ci sono 850.000 telespettatori», commenta Augias, scopritore di una nuova miniera: quella dei non-lettori. «Noi abbiamo aperto una pista. Abbiamo dimostrato, sulla nostra pelle, che il pubblico c’è: bisogna solo andarlo a prendere» afferma «Alla Rai c’è un buco nero tra il pedagogico Dse e il nulla culturale, uno spazio di informazione medio-alta che nessuno riempie. Perché chi paga il canone non deve sapere che esistono poeti come Bertolucci o Luzi?», dice Augias, seppure «con il dovuto rispetto per chi lavora in buona fede, per programmi di tipo tradizionale». Gli scappa una zampata polemica verso il direttore di Rai3, Angelo Guglielmi, che nei primi anni aveva mal digerito la trasmissione («lui ha una concezione dadaista della tv»), ma nutre anche ottimismo, perché Guglielmi ora guarda con più favore a Babele: così, dopo uno Speciale natalizio il programma riprenderà a gennaio, tonificato da alcune novità. Nella tv di Bernabei, il Medioevo della Rai che oggi suscita tante nostalgie, per i libri c’era l’Approdo. Riesumato alla fine degli Anni 80 dal Dipartimento Scuola Educazione, con nuova formula e accattivante titolo, l’Aquilone, fu affidato alle cure di Claudio Angelini e Fiamma Betti, ha volato sul panorama editoriale italiano per quasi quattro anni. Chi ha tagliato i fili all’Aquilone? «Non l’ho capito neppure io», risponde Angelini, ricordando i dignitosi indici di ascolto delle due edizioni del programma. «Andavamo in onda il venerdì alle 15 su RaiUno, e in replica domenicale a mezzanotte su RaiDue. E facendo la somma, avevamo più di 700 mila affezionati», puntualizza il vicedirettore del Tg1 (peraltro curatore dell’Almanacco del giorno dopo), senza nascondere che nel suo cuore c’è una speranza: che l’Aquilone possa tornare a volare, magari nei cieli del nuovo DSE che Pietro Vecchione sta mettendo a punto. Ma negli Anni 80 sono stati gli showmen i più efficaci promotori del libro in tv. Esemplari le Domeniche In nazional-popolari di Pippo Baudo, con gli scrittori che accettavano (su spinta delle case editrici) dosi massicce di fard per fare breccia nel cuore dei potenziali lettori (soprattutto lettrici, pare). Per Gianni Raviele, responsabile dei servizi culturali del Tg1, all’epoca «Baudo occupava surrettiziamente uno spazio che è proprio dell’informazione giornalistica». Invece, Maurizio Costanzo, altro “faro” per i libri in tv, giustifica la presenza degli scrittori negli show. «Un po’ di spettacolo non guasta. Può servire per avvicinare la gente alla cultura. Chi fa tv deve evitare la cultura libresca, quella per pochi addetti. No, io non sono un pentito», ribadisce Costanzo. Ma quando hanno la copertina del libro incollata sul palmo di una mano, e ad intermittenza la mostrano alle telecamere? «La gente avverte se l’autore è sincero o se sta facendo una mera promozione commerciale». È vero che i librai vogliono sapere quali libri beneficeranno di un passaggio televisivo? «Sì», risponde, ammettendo di aver ridotto, negli ultimi tempi, la presenza degli ospiti-scrittori del Maurizio Costanzo show. Ma ricorda anche d’aver avuto ospiti eccellenti come Manlio Sgalambro e André Glucksmann, Elémire Zolla e Renato Dulbecco. Con che esito? «Si perde qualche punto di share, ma chi se ne importa… La qualità delle persone giustifica il rischio». E per fare divulgazione scientifica sul piccolo schermo? «L’unica soluzione è trovare uno sponsor, come ho fatto io per le quattordici puntate degli Scenari del 2000», risponde senza esitare e (pur appartenendo alla scuderia Fininvest), riconosce che in questo campo il migliore resta Piero Angela: «Ha fatto un lavoro enorme, quando si parla di cultura in tv io penso ad Angela». Già, che fanno i «capostipiti» della divulgazione di casa Rai? Dove sono finiti gli Arrigo Petacco e i Piero Angela, da trent’anni sinonimi di Storia e Scienze del nostro teleschermo? Continuano a scrivere libri (per fortuna), ma il servizio pubblico li ha dimenticati. Dal momento che la Rai ha scelto di inseguire la Fininvest sul terreno dell’intrattenimento ultraleggero, i loro programmi sono rari, spesso emarginati. Ci risiamo: per la spietata legge dell’Auditel, la Rai abdica al suo ruolo di servizio pubblico, ed è un miracolo se Petacco ottiene il “nullaosta” per far lezioni di storia alle 7.20 (Unomattina) e se ad Angela, resta la riserva di caccia di Quark (primo pomeriggio di Rai1). Ma i Grandi Vecchi conservano un discreto humour. «Come nei ristoranti, anche in Rai ogni tanto devono cambiare il menu», dice Angela, che nonostante i successi raggiunti (due anni fa La macchina meravigliosa piacque a 5 milioni di telespettatori, e attraverso le videocassette ha recuperato più della metà dei costi), solo nel ’93 riuscirà a produrre, una nuova serie scientifica per RaiUno. «Ricomincio dai dinosauri: sto preparando cinque serate, con modelli animati e grande rigore scientifico». E Arrigo Petacco, dopo aver realizzato (con Franco Cangini) solo sei dei dieci Dossier sulla storia patria di RaiUno (12 per cento di share, in terza serata), aspetta di fare un nuovo programma con la struttura di Ennio Ceccarini, sul ’43 e dintorni. «Intanto, ringiovanisco, facendo due chiacchiere di storia a Prima di andare in classe: una rubrica in diretta con gli studenti, che va in onda alle 7 del mattino…».

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