I barbari del suono

Franco Battiato in La Repubblica, 5 aprile 1994, p. 28
(recensione a Manlio Sgalambro, Contro la musica)

Esplorabile mistero, affascinante, temibile e insondabile la vita, pensavo proprio mentre leggevo il minato pamphlet Contro la musica del grande filosofo Manlio Sgalambro. Questo libro (da poco uscito presso la De Martinis & C. di Catania) è diventato già un caso. Libro estremo, radicale, snob, che nulla concede (come potrà verificare il lettore dalle citazioni che userò più avanti) eppure sorprendentemente alla seconda ristampa. «Perché la musica e non il (suo) niente?», si chiede Sgalambro. Difficile capire l’umiliante pena che provava una Teresa d’Avila, dopo un’estasi, costretta a constatare l’insopportabile differenza di nutrimento, al rientro brutale nelle ordinarie funzioni del corpo.
Altrettanto difficile è comprendere il punto di osservazione di Sgalambro, se non si conosce la natura di quella spietata percezione che tutto vede, se non com’è, sicuramente come non è. Il dubbio è il suo sistema, la pazienza la sua preda.
Dice il cult-philosophe siciliano: «… un rozzo ascoltatore, senza ethos alcuno, s’è impadronito della musica. Essa lo segue ipnotizzata e sprigiona suoni dai suoi stessi fans». E avverte: «… Non è una volgare polemica che qui s’innesca ma una delicata questione metafisica». «Nel crepuscolo dell’umanità la musica suonerà da sola». E più avanti: «… l’ odierna musica da stadio è wagneriana sino alla feccia».
Immagino le starnazzanti proteste di quei parassiti male educati, pieni di muffa e umidità (dato che da quelle parti non batte mai il sole), che col tempo si sono così identificati da sostituirsi ai trapassati compositori. Estraggo ancora, con avidità: «Da questo suono che non cessa, vera immagine dell’ inferno, ci difendiamo con tutte le nostre forze trasformandolo in musica e la musica in ascolto». «… Gli effetti sonori esasperati rivelano il nucleo di verità della musica odierna, farsi sentire costi quel che costi. Adoperare il silenzio pur di spuntarla». Ma l’autore sa che il silenzio non si raggiunge facilmente e che a volte i pensieri sono più rumorosi di un complesso rock.
Mi vedo lontano da Sesto Empirico e dall’epoché; intendo e seguo solo un linguaggio invisibile: una capacità soprasensibile che ammira e gioisce quando scopre la conoscenza che qualcuno ha raggiunto. Questa cosa l’ho vista sia nel Beato Angelico che in Sgalambro. E se il talento e l’intelligenza di quest’ultimo sono indiscutibili, lo si deve alla bellezza inconfutabile della vita che anche se qui si manifesta in maniera diversa non mi ha tratto in inganno. Vi si vede lo stesso diamante. Sconsiglio, amici musicisti o critici, di ricorrere ad aiuti. Gurdijeff e la legge dell’ottava, Marius Schneider e quelle stupide pietre che cantano, Alain Danielou e la psicofisiologia auditiva, farebbero anzi il gioco, aumenterebbero il potere distruttivo di questo pamphlet. «Tutti i suoni sono stati uditi, tutte le sonorità ascoltate. Noi soggiaciamo a questa monumentale idiozia, la musica. Solo un nuovo ascolto ci può salvare».
È singolare che un musicista si trovi d’accordo. Sentite questa: «La musica che fa da sottofondo a una marca di amaro non rivela la miseria del tempo né le sue tendenze regressive. La musica è di per sé réclame del mondo e invita una volta per tutte a comprarlo». Come si fa a non esserlo? Ciò che mi ha colpito è lo stato di allerta. La volontà di provocare un collasso. Il vedere un tutto, o una parte, come per la prima volta fa male ma salva. Immaginate migliaia di macchine completamente bloccate in una città mondiale: uno se ne va a piedi.

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