Il nuovo millenarismo

Manlio Sgalambro in Cronache Parlamentari Siciliane, XI, n. 7, luglio 1994, p. 21

Intellettuali e politica. L’Occidente è la civiltà? L’Oriente, un modo di vivere? La civiltà è l’energia che si impone nel mondo. L’Oriente non riesce ad esprimerla

Una conflagrazione storica ridurrà l’Occidente in frammenti. L’ecpirosi del cosmo storico dissolverà la più bella forma che la storia abbia mai avuto. Questa non è una sciocca profezia ma ormai una attendibile previsione. Il concetto di tramonto o quello complementare di compimento, immessi da Spengler nella visione della storia, non vengono più trattati con sufficienza e il ricordo della «fine del mondo antico» si fa angosciante.

Pensare che l’Occidente possa riversarsi al di fuori e continuare con altri nomi è sconoscere che le forme o vivono o decadono e periscono.
Non è possibile altro. Quegli storici – ma anche menti acute di teorici – che si affannavano a vedere riversarsi il mondo antico in quello che poi vi succedette dimenticano che diecimila libri ottimamente documentati nulla possono contro ciò che si visse come tale.
Macbeth può pure essere stato un uomo virtuoso ma lo storico che lo dimostrerà farà sorridere di compatimento il lettore di Shakespeare. Si badi «Occidente» non è una civiltà di fronte a un’altra civiltà che si chiamerebbe «Oriente». Quelli i quali pesano entrambi dosandone i mali e i beni, chiunque essi siano (si veda ad esempio il vecchio Guénon, Oriente e Occidente, Luni Editrice, Milano 1993) non hanno capito, verrebbe voglia di dire, che «civiltà» è solo una, «l’Occidente». Quello dell’Oriente è solo un modo di vivere. Mentre «civiltà» è l’energia di una forma che si impone direttamente sul «mondo». Vi è poi un altro modo, del rutto politico, di intendere il problema: «Vi è prima di tutto un Occidente in ciascuno di noi – scrive René Habadti -, quindi anche nell’Oriente arabo e che preme sulle nostre coscienze per potersi realizzare. Vi è anche nell’Occidente, nei nostri confronti, un Occidente virtuale, straordinariamente capace di dialogo se riscoprisse la sua più profonda autenticità» (citato in Limes, 3/94 p. 16). Se «Occidente» è una «Forma» ciò è impossibile. Come tale esso non «dialoga» ma annette e ingloba tutto ciò che ne può far parte ed espelle il resto come un rifiuto.
L’Occidente si impone. Potrà allora l’Occidente «tramontare» senza trascinare con sé l’Oriente? O deve intendersi il suo tramonto come «una perdita di confini»: «Nel momento in cui si compie, l’Occidente cessa di avere un senso.

L’Occidente finisce sconfinando» (vedere Limes n. 3/94 dedicato a Occidente, fine del mondo?). Tali tesi affermano la continuazione dell’Occidente con altri mezzi. Esse quindi sconoscono la peculiarità dell’Occidente come Forma. Se solo l’Occidente è «civiltà» e tutti gli altri non sono che «modi di vita» il tramonto dell’Occidente equivale al tramonto della «civiltà» come tale. Resteranno modi di vita come quelli degli insetti o degli uccelli. Alla stessa maniera che non possiamo parlare della «civiltà delle mosche» o dei cavalli ma solamente di come vivono le mosche o i cavalli, potremo parlare di come vivono questi o quegli uomini ma non più di «civiltà».

Il tramonto dell’Occidente equivale al tramonto della «civiltà»? È l’energia che si impone nel mondo. L’Oriente non riesce ad esprimerla.

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