Laura Putti in La Repubblica, 17 settembre 1994, p. 30
(intervista e recensione a Manlio Sgalambro – Franco Battiato, Il cavaliere dell’intelletto)
Palermo – Il palcoscenico è costruito dentro la cattedrale di Palermo, pietra color di terra contro teli neri, illuminati da immagini proiettate sul fondale, dalle luci ora abbaglianti (specie nel primo atto) ora discrete, evocative, spirituali. Franco Battiato e Manlio Sgalambro osservano e tacciono, lasciano che le cose siano: un musicista e un filosofo alle prese con un’opera commissionata dalla Regione Siciliana, un’opera sulla figura di Federico II, che sarà il momento più importante delle celebrazioni dell’ottocentesimo anno dalla nascita di quello che fu re di Sicilia, re di Germania e dei romani, e imperatore (Iesi 1194- Castelfiorentino 1250). Mecenatismo, roba d’altri tempi, e anche l’opera, che s’intitola Il cavaliere dell’intelletto, e che debutterà nella cattedrale, dove Federico II è sepolto vestito di un oblato cistercense e avvolto in uno scialle ricamato con i versi del Corano, martedì prossimo, non vuole avere connotazione di contemporaneità. «Tutti ci chiedono se sia una metafora dei nostri tempi» dice Battiato. «Non lo è, per intenzione precisa». E s’intuisce vago un certo disgusto, del musicista e del filosofo, al solo pensiero di dover trasportare il grande sovrano nelle nostre miserie di oggi.
Il cavaliere dell’intelletto è un’opera in costume, due atti di quaranta minuti l’uno, con musiche, canti, danze, invenzioni sceniche, ma soprattutto dialoghi. Le coreografie sono di Raffaella Rossellini, l’allestimento scenico di Luca Volpatti, scenografo anche delle precedenti opere di Battiato, le luci di Gigi Saccomandi, uno dei light designer più richiesti per la lirica (ma il suo ultimo lavoro è I giganti della montagna di Ronconi a Salisburgo qualche mese fa).
Un filosofo lucido
Manlio Sgalambro, autore del libretto (sarebbe meglio chiamarlo testo) è uno dei pensatori più interessanti dei nostri anni, un filosofo lucido, spesso provocatorio, autore di testi dirompenti come La morte del sole, Trattato dell’empietà, Anatol, fino ai recenti Dialogo teologico, Contro la musica. Sull’Ethos dell’ascolto, mentre il suo editore, Adelphi, sta per pubblicare Dell’indifferenza in materia di società; filosofo e, per la prima volta, anche regista di un’opera in prevalenza musicale.
Chi è Federico II, figura universale e completa, raccontato da un uomo abituato al pensiero solitario? «È la sua universalità che mi ha colpito, ho voluto scrutare il gioco, il mistero di questa grande intelligenza, che si è dimostrata lucida in un periodo storico pieno di demoni» dice Sgalambro, settantenne intenso curioso e vitale, a dispetto di chi lo descrive burbero e introverso. Sul palcoscenico, oltre ai cantanti (lo stesso Battiato, il soprano Cristina Barbieri e il basso Stefano Rinaldi Miliani per le recite palermitane e Antonio Marani, per quelle di Jesi, dal 7 al 9 ottobre, e di Cosenza, dal 28 al 30 ottobre) avete voluto quattro attori (Giancarlo Ilari, Tania Rocchetta, Toni Servillo, Alessandro Vantini) per cinque personaggi; che sono Federico, le sue due moglie Costanza D’Aragona e Isabella Di Brienne, poi il mistico Ibn Sabin e il siciliano Michele Scoto, scienziato e astrologo. Con quale criterio avete ridotto un dialogo complesso a cinque sole voci? «Conoscevo la figura di Federico» dice Sgalambro, «ma non me n’ero mai occupato a fondo. Battiato aveva più confidenza. Diciamo che alcuni personaggi sono nati su suo consiglio».
«La cosa straordinaria è che, pur non lavorando assieme e non avendo discusso così tanto» dice Battiato, «pur avendo compiti precisi e differenti, ci siamo trovati d’accordo su tutto. A casa mi arrivavano fax pieni di parole che già avevano una loro musicalità, una loro forza drammaturgica».
Il musicista e il filosofo hanno con Federico molte cose in comune: il primo si ritrova nella commistione tra le religioni, le poetiche e le filosofie dell’Islam e quelle occidentali del periodo (anche se l’imperatore fu due volte scomunicato, e Dante nella Commedia lo scaraventa nell’Inferno tra gli eretici), il secondo ne apprezza la vivacità intellettuale, il pensiero innovativo, la libertà dagli schemi dell’epoca. «Non abbiamo sbagliato le date» dice Sgalambro, «ma il Federico reale è affar degli storici. Diciamo che il nostro, raccontato all’interno di un arte, è un Federico possibile». Ed entrambi non hanno dubbi nell’affermare che la scena dell’ammaestramento del Falcone è una delle più emozionanti dello spettacolo. «Sono tre ballerini, di cui uno è la preda» dice Battiato, e Sgalambro: «Il falcone è un elemento presente nella vita di Federico, che sull’argomento scrisse anche un trattato: De arte venandi cum avibus. Studiò il falcone come elemento che potesse dargli idee sulla natura, per capirne le leggi e farsi ubbidire. In questo anticipò Bacone: farsi ubbidire dalla natura, e non più il contrario, il concetto della libertà al suo massimo». Il balletto avrà in sottofondo flussi di suono, i danzatori stessi sono la melodia.
Due mogli bambine
Federico e le sue donne: due mogli bambine, poi, si narra anche un harem. Costanza e Isabella. Come le ha raccontate, professore? «Teneramente, per portare un tocco di leggerezza. Non si infastidiscano le donne di oggi, ma per me la donna è tenera. Perché non ha portato sulle sue spalle il peso storico che ha invece portato l’uomo, il suo torvo, il suo nero. La parte di Isabella è un addio, alla Siria, alla quale, sedicenne, la strappa il matrimonio». Costanza, la prima moglie canta invece: «Attraverso l’amplesso partecipo la tua regalità, per le mille vie delle carezze (spezie d’amore) mi unisco alla tua Suprema Idea… Ah! Federico, chi amo quando amo?». Anche per descrivere la sua regia. Il professore usa la parola leggerezza, così poco adatta invece ai suoi scritti. «È un lavoro di persuasione, che però preferisco chiamare seduzione. Sedurre l’altro è un elemento stesso del proprio piacere, e si fa per il piacere dell’altro».
Nella cattedrale di Palermo suonerà l’Orchestra Sinfonica Siciliana diretta da Marco Boni, ma ci saranno anche le tastiere di Filippo Destrieri e di Angelo Privitera. «Ho usato anche nastri e campionamenti» dice Battiato, che ha trasformato un coro di suore che cantano il quattordicesimo kyrie del Kyriale, in un coro maschile. E, tra il fiero e il sorpreso, si fa sfuggire una battuta da rockstar: «In un’ora, tra le dieci e le undici di martedì mattina, sono stati venduti tutti i 1800 biglietti disponibili. Sono arrivate prenotazioni da tutta Europa ed anche dagli Stati Uniti, speriamo di poter aggiungere posti in piedi». Per volere del cardinale Pappalardo, l’incasso delle repliche palermitane, martedì e mercoledì, sarà devoluto in beneficenza; in parte servirà per il restauro della cattedrale, in parte andrà ai bambini del Terzo Mondo.