Dell’indifferenza in materia di società

Manlio Sgalambro, Adelphi, 1994

C’è un idolo dinanzi al quale i contemporanei, anche delle più opposte convinzioni, si mostrano bigotti: la società. Tutto viene ricondotto alla società quasi fosse la barriera ultima, oltre la quale non si distingue ciò che pure sarebbe forse più essenziale: la vita e la morte, il bene e il male, la felicità e l’infelicità. Come dando licenza a una furia a lungo repressa («Come si pronunciò un tempo, con orrore, “stato di natura”, così mi trovo a dire, con pari orrore, “stato di società”»), Sgalambro ha voluto, con questo pamphlet, scendere in mezzo alla «società» di cui tanto si parla per analizzare di che cosa è fatta. Sferzante, caustico, dichiaratamente provocatorio, ha così enunciato, con argomenti lucidi e appuntiti, le ragioni del suo dissociarsi da un amalgama politico-sociale dove la ricerca ansiosa della mediocrità va unita al desiderio di disprezzarla, in un circolo vizioso che permette di garantirsi con poca fatica una immeritata buona coscienza. La forma è diretta e bruciante, ma in filigrana si riconoscono i lineamenti di una «filosofia solitaria» che molti lettori hanno scoperto con ammirazione in questi ultimi anni.

Vero, la società dovrebbe salvarci dall’universo che ci ingoia. Ma cosa ci salva dalla società?

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