Manlio Sgalambro in Cronache Parlamentari Siciliane, XII, n. 2, febbraio 1995, p. 19
L’odierna immagine di una natura da proteggere infligge alla sua idea un torto maggiore di quello immaginato dalla politica stessa
Se la natura fosse «matrigna», non bisognerebbe punirla, sfregiarla, attentare alla sua vita, cancellare suoi tratti? Ma se fosse madre feconda benevola, chi mai potrebbe diminuire la sua sempre intatta potenza e suoi ottanta attributi – onnipotente, balia, nutrice, padre, madre… – esaltati in un inno a Physis da un ignoto del III o IV secolo?
L’idea di natura paga oggi l’eclissi che questi potenti concetti patiscono. Come non ricordare il fulmine, nel De rerum natura lucreziano, in cui si contiene in nuce l’onnipossente essenza della sua energia vitale?
Essa oggi è divenuta qualcosa di malaticcio ed incerto: un fondale. O quanto meno tale è la visione politica: una natura da «proteggere».
Quando si aveva ancora una idea della natura degna di essa, questa non periva, non correva pericoli e l’uomo, beninteso, nulla poteva contro di essa. L’Odissea è il trattato di una natura elementare e proterva.
L’odierna immagine di una natura da proteggere infligge alla sua idea un torto maggiore che quello immaginato dalla politica stessa. Il piccolo ecologo si fa avanti con le sue anime proteso a tutelare questa immane potenza, a difenderla con la sua vita da pulce. Egli vuole conservare la natura, proteggerne gli animali, gli alberi. Che squisito messere, che nobile cuore! La rinchiude nei parchi e così va tranquillo. Lunga vita alla natura! Che risibile faccenda! Essa vive invece delle sue morti e delle sue carneficine. E così che si riproduce e più bella e forte di prima schiaccia la nostra stupida pretesa quando ci seppellisce. Lasciate dunque che si uccidano i suoi animali, che si strappino i suoi alberi. Tocchiamola con le nostre mani di assassini. Non la scalfiremo di un’unghia.
Se la natura fosse «matrigna», non bisognerebbe punirla, sfregiarla, attentare alla sua vita, cancellare suoi tratti?