Nera musica dell’anima

Gino Castaldo in La Repubblica, 6 maggio 1995

C’è qualcosa di buffo nell’attesa che si crea prima di una diretta televisiva o radiofonica. Si aspetta il via e tutto rimane sospeso, come se pubblico e musicisti sul palco non esistessero, prima del magico “in onda” della presa diretta dell’etere. E così è successo anche l’altra sera nel prezioso Oratorio del Caravita, davanti ad un trepidante pubblico che, affluito in eccesso (a causa di una scombinata gestione di inviti e biglietti), ha riempito tutto lo spazio in tripla fila, compresi i confessionali, divenuti per l’occasione favorevoli loculi adatti all’ascolto. Di scena Battiato e, soprattutto, i Madredeus. Soprattutto non per astratte gerarchie di valore, ma perché il gruppo portoghese, già oggetto di culto nel nostro paese, è approdato dal vivo sulle nostre scene per la prima volta. Sono loro che hanno aperto la serata, dopo che il via è arrivato dalle antenne di Radiodue, che ha trasmesso in diretta la serata, mentre Tmc ne registrava le immagini per uso futuro. I Madredeus sono un gruppo davvero insolito, intanto perché, tra le tante definizioni possibili di gruppo musicale, ne hanno data una che mancava all’elenco: «Siamo un gruppo di persone solitarie che si incontrano per suonare insieme», frase non solo bella, ma anche piuttosto precisa nel definire l’atteggiamento dei sei componenti, tutti rigorosamente vestiti di nero, in segno di austerità dell’anima, di sobrio e profondo rigore. La cantante Teresa Salgueiro possiede una di quelle voci che sanno portare il dolore con grazia e nobiltà, una di quelle voci che eccitano la fantasia, che evocano destini antichi, potenti viaggi spirituali. È musica originale, firmata dai componenti del gruppo, ma elegantemente connessa con la tradizione portoghese, in un rapporto tra creazione del nuovo e senso di appartenenza che è sempre una garanzia di grandi suggestioni. Ha affascinato Wim Wenders, e con lui buona parte della cultura europea. Inutile dire quanto la musica dei Madredeus, ovvero questa splendida, alta, tornita voce di donna, accompagnata da chitarre, violoncello, fisarmonica e tastiera, potesse risuonare perfettamente nello scenario dell’Oratorio. Così come è avvenuto subito dopo per Battiato, che della sacralità della musica ha realizzato una visione attualissima, di segno elettronico, minacciosa e meditativa allo stesso tempo. L’altra sera ha presentato per la prima volta dal vivo il suo nuovo disco, letteralmente e quasi filologicamente, nel senso che lo ha eseguito nello stesso identico ordine con cui le canzoni si sviluppano nel Cd, partendo da L’ombrello e la macchina da cucire e finendo con L’esistenza di Dio (pensate che coraggio!), a riprova che nel breve spazio di una canzone, altro che canzonetta, si può parlare di tutto, senza paure, senza limitazioni che, in effetti, la storia della musica non ha mai posto a nessuno. Il gruppo, pianoforte, quartetto d’archi, e due tastiere, è in assoluto la dimensione più adatta per quello che è diventata la musica di Battiato, terreno per delizie classicheggianti, severi moniti filosofici, tensioni da fine millennio, soprattutto oggi che Battiato ha affidato la stesura dei testi al bravissimo filosofo Manlio Sgalambro. Anche la fusione tra l’acustico del pianoforte e degli archi da una parte e le tastiere elettroniche dall’altra, è in qualche modo una riuscitissima alchimia con la quale Battiato dice un’autorevolissima parola sulle commistioni tra classico e profano. Se in Italia c’è davvero una musica che non si preoccupa delle barriere stilistiche, è proprio la sua, e per di più con estrema naturalezza, senza forzature ideologiche. Da segnalare, in questa sequenza di canzoni impegnative e pesanti, la perla di Un vecchio cameriere, stupenda perché dall’equilibrio di tutte queste componenti, nasce per una volta il segno della lievità, della poesia gentile e appassionata. La stessa voce di Battiato, in quella come nelle altre canzoni, con la sua umanità senza retorica e senza fronzoli, senza impostazioni tecnico-accademiche, diventa una forte garanzia di autenticità, e in fondo anche di tenerezza, in mezzo a questo trionfo di massimi sistemi che potrebbero intimidire e allontanare. E per maggiore gradevolezza, nei bis Battiato ha concesso qualche pezzo tra i più noti: alcuni Lieder classici, e infine E ti vengo a cercare, nel tripudio generale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *