“La mafia non si ferma con i convegni”

Turi Caggegi in La Repubblica, 29 dicembre 1995
(intervista a Manlio Sgalambro)

Catania – La mafia spara, e lui cita Voltaire: il cittadino faccia il suo lavoro, combattere le cosche è un problema dello Stato. A ciascuno il suo, contro la mafia non servono i cortei né battersi il petto. Con la mafia bisogna abituarsi a convivere come con una malattia di cui non si conosce ancora la cura. È questa la ricetta antimafia di Manlio Sgalambro, 71 anni, filosofo, catanese, che dopo un libro pubblicato da Adelphi ha cominciato un sodalizio artistico con il conterraneo musicista Franco Battiato, per il quale ha scritto i testi dell’opera Il cavaliere dell’intelletto e dell’ultimo album L’ombrello e la macchina da cucire. Attualmente, sempre con Battiato e con Enrico Ghezzi, è impegnato nella preparazione di un film. Sgalambro vive nel centro di Catania, ma non si è mai dimostrato particolarmente turbato per la violenza della città. «Catania è una città pluralista – racconta – È vero, c’è la mafia, ma c’è anche la musica rock, ci sono tanti editori… Voler ricompattare Catania a partire da un’unica cosa è una specie di monoteismo sociologico, profondamente sbagliato».

Ma non crede che la componente-violenza qui sia un po’ troppo alta?
«Beh, vede, mi pare che dopo gli arresti dei vecchi capi ci sia una lotta per il riassetto interno, tutto avviene all’interno di questi gruppi…».

Una versione edulcorata del «tanto si ammazzano fra di loro»?
«Non edulcorata, direi realista…».

E questo significa che i cittadini devono stare alla finestra?
«Ah, guardi, è facile accusare il popolo di diserzione quando non va ai convegni, com’è successo qui. Ma chi è il cittadino? Il cittadino è colui che cura i propri affari: il negoziante deve vendere, il poeta comporre, l’impiegato… Lasciamo perdere il cittadino, che fa quel che deve fare. La gente deve lavorare, non si può pensare che ogni giorno sia domenica, che sia sempre la giornata dei buoni sentimenti. Io, se mi viene da scrivere, devo scrivere, non posso andarmene in giro a gridare “abbasso la mafia”. Come se poi una manifestazione avesse il potere magico di risolvere il problema…».

Lei quindi è contro l’impegno diretto dei cittadini?
«I cittadini devono capire il fenomeno, devono interrogarsi sui comportamenti che lo favoriscono, come non denunciare estorsioni. Ma non possono lottare contro la mafia, che ha radici economiche ben precise. La lotta è un compito delle istituzioni. Anche durante il fascismo, quando c’era un problema si facevano adunate, si ascoltavano discorsi e poi si andava via appagati. Ma il problema rimaneva».

Secondo lei come si può battere la mafia?
«È duro dirlo, ma è realistico: questo è un fenomeno tipico delle società opulente, ed è di lunga durata, dobbiamo trovare un modo di conviverci mentre cerchiamo una soluzione…».

Come convivere con il cancro o l’Aids?
«Esatto, basta con gli appelli alle armi: che dobbiamo fare, batterci il petto di continuo? No, così non si risolve niente, e forse le adunate possono diventare un alibi per non fare… Invece noi cittadini dobbiamo continuare a coltivare il nostro giardino. Già, come nella conclusione del Candide di Voltaire, un libro che consiglio ai miei concittadini»

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