Postfazione. Morale di un cavallo

Manlio Sgalambro in Ottavio Cappellani, La morale del cavallo, Edizioni Nadir, 1998, pp. 45-47

Siamo certi che questa non sia la morale che attendevamo? Voglio dire, che attendevamo da un libro? Sfiora la verità. Che si può dire di più per segnalare l’ammirazione che desta? Sfiora la verità, ho detto. Penso che l’autore non si aspetti che dica: è vera. Si vuole che la verità si dia al primo venuto. A colui che non ha preparato trappole. Questo autore è un primo venuto? Amico mio, voi dite che la morale è un genere detestabile. Frequentate forse solo discipline per bene? Ma veniamo al cavallo. Il vostro cavallo è un superuomo. Ciò mi riempie di gioia. Non ho mai visto superuomini, ma ho visto dei cavalli. Alla fine cadete anche voi in una morale. Vi sembrerà un appunto da padre nobile. Bisogna certo scombinare le sue proposizioni. Assestare ogni colpo all’eccesso di devozione. Ma mi sembra che a vostra volta plaudiate a un’etica della sconfitta. Attenzione. Ciò mi sa provenire da Messkirch. (A proposito, vi do del voi per segnalare tra noi due una vicinanza tutta ‘francese’). Il migliore scherzo che si può fare a un maestro è quello di restare un discepolo. Mi pare che voi l’abbiate fatto a Caprilli. Io vorrei fare un omaggio a entrambi. «Equitazione»: vorrei che da domani si inserisse questa parola nell’Ethica. Ma ne dubito. Sento infine che voi amate il ‘galop’. A un uomo di cavalli debbo ricordare che il massimo per un cavaliere è andare al passo.

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