Il sesso comincia a 70 anni

Mirella Serri in L’Espresso, 28 ottobre 1999, p. 127
(intervista e recensione a Manlio Sgalambro, Trattato dell’età)

Filosofi / Manlio Sgalambro racconta il suo “Trattato dell’età”

La vita comincia a settant’anni, quando, diceva Montaigne, la carne si fa più flaccida, e al tatto si scioglie e si spappola. Proprio così: l’età più intensa e più brillante è appunto la terza, cioè la vecchiaia. Almeno stando al provocatorio “Trattato dell’età” del filosofo Manlio Sgalambro, in uscita a giorni da Adelphi. Lo spigoloso pensatore siciliano, settantacinquenne (e l’età in questo caso non è solo un dato biografico ma veramente una chiave filosofica), teorico del pensiero negativo, autore pessimista e “cattivo” per elezione e vocazione, è pronto con questo suo nuovo saggio a sfidare limiti e convenzioni. Affermatosi fuori di ogni conventicola accademica, anzi sprovvisto di regolare certificato di laurea, Sgalambro, autore in passato del “Trattato dell’empietà”, “Dell’indifferenza in materia di società” e di altri (discussi) testi filosofici, oltre che sodale di Franco Battiato per il quale ha firmato parecchie canzoni, oggi cambia bersaglio. Ed eccolo all’attacco di uno dei miti più inossidabili della nostra epoca, il giovanilismo. Ascoltiamo le sue ragioni.

– Sgalambro, davvero la vecchiaia non è la parte più amara dell’esistenza?
«Per prima cosa, dobbiamo eliminare le false convinzioni. Intanto il vecchio, come ci ha abituato tanta letteratura dall’Ottocento in poi, da Dickens a Balzac, siamo abituati a pensarlo in termini molto negativi. È rincoglionito, ebete, cattivo. Oppure ci appare come un’entità inafferrabile. Non riusciamo a collocarlo. Di fronte a queste difficoltà c’è chi ha cercato di capovolgere i termini della questione, e tanta trattatistica, dalla classicità in poi, ha rivalutato l’età avanzata come il completamento di una vita: sarebbe l’età aurea della saggezza, il momento degli onori e della gloria. Ma sono tesi buone per bacucchi. O per cuochi in pensione. La verità è che la vecchiaia proprio non riusciamo ad accettarla».

– Da cosa dipende questa difficoltà?
«Mentre respingiamo con forza l’idea della senilità, il Novecento ai suoi esordi si è affermato come un secolo bambino. L’immagine del bambino non è mai stata tanto coccolata. Psicologia, filosofia, pedagogia hanno rivalutato questo essere che, in altri tempi, non godeva di tale considerazione. Per esempio: “fogna”, cioè ricettacolo dei peggiori istinti, era quel che ne diceva Sant’Agostino. L’infanzia è stata esaltata e il bambino è stato trasformato in “figlio”: un essere lieve, gradevole, un concentrato di elementi positivi. Così si è celebrato il trionfo del giovanilismo e il disprezzo della vecchiaia. Ad alimentare questo atteggiamento hanno contribuito anche il romanticismo e la tradizione filosofica: Fichte arruolava nel novero dei filosofi solo «giovani teste focose». Schopenhauer sosteneva che una vera filosofia si elabora dai diciotto ai trent’anni. Insomma, per dirla con un’immagine che mi appare efficace, il cervello deve essere eretto, fallico».

– E quale sarebbe, secondo lei, l’alternativa a questa ontologia dell’erezione?
«Il vecchio è colui che si gode la propria scomparsa. Che non deve contribuire al miglioramento della società, che non ha una concezione progressiva del tempo. Tutto l’indaffararsi dell’uomo è segnato da un disfarsi perpetuo. Il vecchio è di fronte a questo disfacimento. Anzi ne è l’incarnazione. Per questo non ha bisogno del pensiero e del cervello “eretti”. Ho scritto questo saggio non perché l’esercito dei vecchi sia in aumento, ma perché chi è più vicino alla morte ha in mano lo scettro del nostro tempo. È il simbolo metafisico di una società che anch’essa si spappola, i cui fenomeni sono difficilmente regolabili da leggi e certezze. Eliminiamo un altro luogo comune: non è vero che il vecchio non viva con entusiasmo. Il suo entusiasmo è nello sguardo impietoso che lo rende più consapevole. Anche a livello erotico».

– Ma non si dice che la vecchiaia è la tomba del sesso?
«Al contrario. L’amore non si perde. Non lasciamo nulla di meraviglioso dietro di noi. Nell’età più avanzata l’amore non è più “genitalismo”. Il sesso è in tutto il corpo. E il corpo diventa come un oceano in cui tutto è pene, tutto è vagina. Si conquista un eros non fallocratico né gerarchico. E poi, mentre l’amore giovanile è impegnato nella riproduzione, l’amore senile si scrolla di dosso quest’onere. La carezza del vecchio fa fremere di più. È come il suicida che – Seneca lo ha scritto in pagine mirabili – nell’attesa della morte, pregusta la sua scomparsa centellinandola. In vecchiaia si centellina l’amore. Nell’amore tardo, sparisce ogni conflitto. E passati i sessant’anni l’amore scaturirà da ciò che sei, non dalle fattezze del tuo sedere».

– Bisogna accettarsi. E niente viagra, lifting e interventi per modificare o mascherare?
«No, per carità, nessun trucco. Il vecchio con il suo corpo ha un fascino, racchiude una storia, una forma di conoscenza sedimentata. Nella vecchiaia, i limiti e le possibilità dell’umanità intera si mostrano per quello che sono. E questa conoscenza dei limiti ci rinforza e ci rende più vigorosi. Diceva bene Cipriano: la vita non finisce ma comincia con la vecchiaia».

La vecchiaia? Uno stato di grazia. Per la mente. E per tutto il corpo. Parola del pensatore siciliano. In guerra contro il mito giovanilistico

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