Apologia del teologo

Manlio Sgalambro in Fabio Presutti, Deleuze e Sgalambro: dell’espressione avversa, Prova d’Autore, 2012, p.5

Qui si fa l’apologia del teologo, ma del teologo infedele, non del bonhomme che guarda Dio con gli occhi libidinosi. Costui è un essere lascivo. Non parla, sbava. Dio dà la parola anche ai porci, dice pieno di riconoscenza. Nell’altro c’è una grande calma, una forte risolutezza.
La sicurezza che Dio non “esisterebbe” se non esistesse il teologo. Nella quiete apparente di questo termine aleggia l’inquietudine per cui essa si costituisce non solo come professione ma soprattutto come esistenza. Se il teologo come esistenza non ha avuto il dovuto rilievo e se come adesso raccoglie le erbacce e i fondi di magazzino del sapere occidentale, ciò si deve all’interruzione della riflessione su se stesso, non più ripresa.
Ad esempio, la domanda sulla cosiddetta “esistenza di Dio” non può slegarsi dalla domanda sull’esistenza del teologo. Chi scopre che il teologo “esiste” ha fatto una scoperta maggiore di quella del teologo che scopre solamente che esiste Dio.

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