La morte del sole

Manlio Sgalambro in Adelphiana. 1963-2013, Adelphi, 2013, pp. 268-269

Impiegai molto tempo a impadronirmi dei mezzi che mi permettessero di scrivere come volevo. Pensare non mi aveva mai spaventato. Sentivo invece che scrivere era il mio vero problema. Mi si era formato un concetto di scrittura che fosse tutt’uno con ciò su cui andavo via via riflettendo. Finché mi sembrò che quello che stavo scrivendo non fosse semplicemente scrittura. Mi insuperbii. Lo scossi, cercai di sentirne il suono o il rumore. Mi sembrava che tuonasse, ma che a volte, al contrario, rasentasse il silenzio. In realtà doveva essere così: un silenzio che destasse spavento, prima di tutto in me stesso, e poi un rumore che superasse quello del tuono. Ecco, ora potevo scrivere. Pensare, ripeto, non mi spaventava. Trovavo superflue le precauzioni prese da Descartes. Prima bisogna pensare, accada quel che accada, mi dicevo. E dopo? Spremere il pensiero fino a farne uscire dei succhi. E dopo ancora? Quando esso è putrefatto, allora puoi servirlo. O meglio, lo rinserri in una prigione, il libro.
Occorreva, come si poteva vedere, anche il punto di arrivo. In ogni caso vantava la propria come una filosofia senza ‘autore’. Se un uomo vivo è un inganno per la conoscenza, bisognava allora ‘fingersi’ morto? Ma i suoi nervi? (Non era l’età dei nervi?). Non venivano i colpiti dall’‘altro’, dalle sue interpretazioni? Al contrario dell’interpretazione, la spiegazione è gelosa, diceva. Solo avevano diritto i dogmataDer Mensch ist gut! Ma, chi pensa? Eppure pensare lo tentava, lo seduceva. Non ne aveva però il culto.
E allora ciò che aveva fatto non era altro che un Lied? Si congedò dal libro con la malinconia che accompagna tutte le fini. Non ne avrebbe scritti più, fu il suo giuramento. Ma non lo mantenne. E fu un lungo precipitare. Scrisse altri libri, che si divoravano tra loro. Un onesto trattenimiento… Il terrore non lo protesse più. E la pietà che lo faceva piangere sulla sorte dei suoi simili era ormai un sogghigno. Affidò ciò che scrisse alla lettura. L’immobilità della contemplazione gli diventò estranea. Ma non del tutto. Come uomo del crepuscolo, faceva ancora parte della caduta.

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