Sgalambro, il filosofo maledetto che trovò sollievo in Battiato

Marcello Veneziani in La Verità, 6 marzo 2024, pp. 1 19

Dieci anni fa, il 6 marzo del 2014, moriva Manlio Sgalambro, l’ultimo erede dall’antica scuola cinica; quest’anno è anche il centenario della sua nascita. Ateo, empio, nichilista la sua salma fini tuttavia nella chiesa del Crocifisso dei miracoli di Catania. Sgalambro, coerentemente col suo (pensiero, non ha lasciato nessuna eredità filosofica e nulla poteva lasciare; semmai ha lasciato il nulla come sua eredità ultrafilosofica. Il pensiero, l’elogio, la rapsodia del nulla. Ho letto e annotato tutti i suoi libri, lucidi e impietosi, che cominciò a scrivere in tarda età. Bello pure il volume collettaneo a lui dedicato, Caro Misantropo (ed. la casa di Pitagora).
La sua teoria filosofica si può definire peggiorismo, versione aggravata del pessimismo. Era un’intelligenza libera da ogni accademia che giocava col nichilismo cinico; come un prestigiatore faceva sparire uomini e cose, non solo i valori. Si divertiva a svelare verità a contrario, un po’ come il diavolo, a scoperchiare pentole, a deridere e bestemmiare l’umanità, la vita, Dio. Maledetto, come un Baudelaire agli agrumi di Sicilia; ma al posto della poesia, la teoria.
C’è un’impronta siculo-mediterranea nel pensiero notturno di Sgalambro. Ha contato nascere a Lentini, patria di Gorgia il sofista, non lontano dal Caos, la contrada dove nacque Pirandello. Sgalambro si compiaceva dell’empietà, a cui dedicò un sugoso trattato. A volte il suo gioco si fa scoperto, quasi teatrale, Sgalambro il Maledetto deflora la verità e capovolge la logica. In principio fu la Parola; no, dice lui, alla fine fu la parola. E l’identità ………

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